martedì 28 febbraio 2017

"My" social

“Non hai facebook?”… Ma come fai senza?”.  E’ quello che mi chiedono sempre tutti…, (Sigh!). Inutile dirlo, le piazze virtuali sono fondamentali per farti conoscere ad un pubblico più vasto di quel che pensi. I social hanno cambiato le nostre vite..., (Sigh!). Ne sono consapevole da sempre, ma da quando mi sono rimesso a scrivere sul mio “morsi di gusto”, ne sono ancora più convinto. Ci sono dei miei post pubblicati su “morsi di gusto” che se ripresi e linkati da amici che hanno Facebook, il numero dei miei lettori si impenna. Arrivo a cifre così alte che mi mettono anche in imbarazzo…, (Sigh!). Eppure resisto. In linea con Vinicio Capossela che nel suo nuovo tour sprona all'"ombra" contrapposta alla troppa luce digitale…. con i social che fanno diventare tutto spettacolo”. Si, sono senza Facebook, vivo senza social…, non seguo sti riti... Non ne sento la mancanza. Anche perché penso che creare un profilo e renderlo vivo, postando costantemente cose intelligenti, sia un lavorone…, (Sigh!). Forse è anche colpa di un certo mio barocco mentale se sono così social-out… Ma non voglio arrendermi a Facebook…. Voglio rimanerci fuori. Lo considero uno spazio inadeguato, un posto da internettualoidi!  Che dimostra come tutti, qui, sappiano cavalcare qualsiasi argomento creando il caos… Facebook è un posto dove si clonano nuovi alfabeti, dove si creano laboratori inutili…, a volte anche molto pericolosi. Un posto complicato, ma accessibile a tutti, simbolo di un’autorità anarchica inquietante. Facebook lo reputo uno spazio commerciale dove vendere e vendersi…, oltre che un posto d’osservazione, di spionaggio.. E' notizia di ieri pubblicata sul quotidiano La Stampa: "Su Facebook la truffa del finto compaesano"... A Borgo Vercelli, paese di poche anime del nord Piemonte, dei tipi loschi, che saltellavano come pulci da un I.P. all'altro da chissà quale parte del mondo, chiedevano amicizie spacciandosi come compaesani per riscuotere la loro fiducia..., (Sigh!).. Una volta accordata, studiavano le abitudini dei nuovi "amici" per coglierli su argomenti a loro sensibili e fottergli dei soldi..., (Sigh!). Lo so, oggi tutti noi siamo comunque, Facebook o non Facebook, vorticosamente presenti in una rete universale... Siamo appiccicati con questa strana colla che sembra ci tenga tutti uniti..., impegnati, volenti o nolenti, in un rodeo virtuale per professionisti e dilettanti allo sbaraglio…, (Sigh!). In questo strano posto di individualismo collettivo, di ossimoro di cui ormai tutti sono capaci, Facebook è un luogo da festa travestito da tortura..., un posto strano dove cercarsi e trovarsi..., un posto dove i confini si confondono. E per me Facebook, al contrario di quel che pensano molti, rimane l’ultimo posto dove si gusta la felicità di vivere…(Sigh!). "My" social!


martedì 21 febbraio 2017

Cuochi e concorsi, passione irragionevole

Veder cucinare uno chef nella sua cucina è già un bel vedere. Vederlo cucinare ad un Concorso di cucina è speciale. Anche se non tutti i cuochi hanno il coraggio di dimostrare il proprio talento mettendosi in gioco nei concorsi dei professionisti..., (Sigh!). Lo scorso fine settimana ho assistito alla prima parte dei Campionati della Cucina Italiana, che finiscono oggi, organizzati dalla Federazione Italiana Cuochi presso la Fiera di Rimini. Una competizione promossa a livello nazionale ed internazionale. Non potete conoscere la fatica della cucina se non si vedono i cuochi all’opera nelle competizioni..., (Sigh!).  Questo, per me non era il primo Concorso di Cucina a cui assistevo…, ma qui ci ho trovato un piglio, una meticolosità e una passione esagerata da parte di tutti. Il padiglione della Fiera di Rimini, sabato, all’apertura, era un formicaio irrequieto di chef che andavano e venivano. Man mano che si avvicinava il via alla competizione, sul campo di sfida si respirava l’aria dell’evento, del saper pratico, della gara, e della festa. I cuochi sfidanti si muovevano in spazi orizzontali limitati, (Sigh!). Teste basse sui piani di preparazione e mani veloci a incidere, formare, spadellare, costruire. Se in tutte le altre iniziative in cui lo chef si esibisce prevale un sostanziale sofisticato esibizionismo, nei Concorsi di cucina regna l’ordine costituito. Anche professionalità, cautela ed intuizione. Sabato ho colto anche un atteggiamento rigoroso verso la gerarchia…, con lo chef superiore che assumeva un ruolo paternalista verso il giovane sottoposto… Non mi pareva vero...! In sti Concorsi esistono criteri di gara che non si possono tralasciare: igiene e pulizia, struttura dei piatti, tempi di esecuzione, rispetto dei codici gastronomici, equilibrio dietetico…, (Sigh!), ai quali gli chef competitori devono attenersi durante la loro performance. Fissati da una commissione culinaria mondiale, che a caduta toccano tutti i regolamenti delle diverse competizioni. Le giurie hanno curriculum ricchi, hanno superato esami, contano partecipazioni a competizioni di grande prestigio, parlano più lingue...! Sabato, ai Campionati della Cucina Italiana, ho apprezzato la sicurezza di tutti. Dei giudici e dei giudicati. In un rodeo di stress, manuale e mentale che giustifica passioni irragionevoli, consumate in estranei loculi-laboratorio. Ero nel bel mezzo di una palestra di discrezionalità! Colle puntigliose occhiate dei giudici, a cui rispondeva una rigorosa osservanza delle regole da parte dei concorsisti…, (Sigh!). Man, mano, uscivano ricette che sembravano poderosi affreschi irrazionali, azionati da un popolo razionale… Piatti che profumavano prima di tutto di ricompense meritate! I cuochi che ho visto ai Campionati della Cucina Italiana sono persone che venivano a condividere qualcosa… Le emozioni, l’esercizio della professionalità, la raccolta delle esperienze, le attese, le performance, i giudizi…, (Sigh!). Ma soprattutto un amore gratuito ed infinito verso la cucina…! Bravi tutti! 


martedì 14 febbraio 2017

Ritagliamoci un pezzo di terra

Dal barbiere, si scopre un’Italia interessante. Esiste una stratificazione delle abitudini e dei ricordi che rendono unica quell’ora che passo tra la sedia dell'attesa e la seggiola del taglio. Dal barbiere ci si indigna per la politica nazionale e per quella locale, per lo stipendio dei calciatori, per le tasse, per i costi della vita... Si parla tutti con disinvoltura, e anche da esperti, di economia, di politica, di sport, secondo un rituale che include molte volte anche l’intimità e le vicende personali. Dal Barbiere è un posto di confessioni di gruppo dove tutti si confidano con tutti…! L’altro giorno da mio Barbiere mi sono rifatto, anzi no, ho aggiornato, la mia cultura sugli orti e sulle serre infinite che vedo crescere ogni volta, sempre più ingombranti, su quel fazzoletto di terra furiosamente antropizzato ai piedi della prima collina braidese... Resa malconcia, anch'essa, da un eco-mostro di cemento, dalla fantasiosa geometria ingegneristica, che troneggia squallidamente fiero da una dozzina d'anni nel bel mezzo, rendendolo uno dei simboli del degrado della mia città, (Sigh!). Dicevo della mia rinnovata cultura sugli orti grazie ad un tipo, che conosco da una vita, ma che non vedevo da tempo, che era di passaggio lì dal Barbiere... Non per farsi mettere a posto barba e capelli, ma solo per ritrovare e salutare gente come capita spesso qui. Mentre il mio parrucchiere era impegnato su di me, ho iniziato ad argomentare con l’ortolano sulle produzioni locali sotto serra e quali di queste scegliere per mangiare qualcosa di sano… “Quelle meno toccate dalla chimizzazione agricola.., meno trattate..., meno concimate con prodotti chimici?" - mi chiede... "Ormai si salvano solo più broccoli, costine, cavolfiori, rape... e, forse, ma ancora per poco, gli spinaci... Perché la loro difesa chimica dalle malattie si basa “solo” sull’impiego di prodotti rameici che si danno al primo apparire del danno... Lo sfruttamento intensivo del suolo, la monocultura esasperata, la chimizzazione eccessiva, hanno mandato tutto a ramengo…" - sentenzia, (Sigh!). Mi racconta che ormai per produrre con successo qualcosa, bisogna farlo in un sistema acquaponico…, dove anche il guadagno del contadino è superiore perché non solo risparmia la spesa dei trattamenti per la terra, (che comunque non ce la fa più), ma soprattutto per il veloce turnover produttivo degli ortaggi.. "Stanno scomparendo le produzione in terra nelle nostre serre..." - mi dice, (Sigh). "Le serre sono ormai ridotte a immensa ed esclusiva taverna fumante, iper riscaldate, per sistema di coltura acquaponica... Che coincide con l’autodistruzione. Col cancellamento totale della buona agricoltura, schiacciata ormai da anni dal greve fardello della chimica". L'amico cercava di sdrammatizzare sta spiacevole realtà sorridendo...! Parlando, però, si sentiva dal suo tono come volesse liberarsi dal peso della sua angoscia e porre il problema al centro dell’attenzione dei presenti (Sigh!). Nella frenesia, confermava che la verdura in commercio, ma anche frutta  riso, grano, mais..., non sono più, da tempo, ricche di nutrienti, né più salutari come lo erano tempo fa! Negli ultimi trent’anni si sono sempre più affermate, nel settore della produzione protetta di ortaggi, nuove tecniche di coltivazione ad alta efficienza che per forza devono far uso di strumenti chimici. "La gamma di insetti, di funghi e batteri, nemici delle coltivazioni, si allunga ogni giorno di più" - mi dice. Tra i fitofagi, insetti che si nutrono di piante e delle loro parti, foglie, rami e frutti, gli afidi sono inarrestabili. Per non parlare dei marciumi basali e le batteriosi... (Sigh!). Quindi si è obbligati, per vendere, a "intervenire" a manetta...! Per incassettare, caricare ed esporre. Per rendere i frutti della terra perfettamente colorati, belli, omogenei nelle forme... Come vogliono gli standard merceologici, soprattutto della grande distribuzione... Che non tollerano la presenza macchie o imperfezioni  sulla foglia della lattuga perché il cliente sarebbe disincentivato all’acquisto. "C’è più biodiversità in un angolo abbandonato di periferia che in un campo diserbato, insetticidato, chimicizzato" - mi dice! Se vogliamo salvarci, e salvare la terra...(Sigh!), non ci resta che ritagliarcene un pezzo.

martedì 7 febbraio 2017

Sanremo era Sanremo

Martellato dall’attuale invadente  pubblicità, lo scrigno della mia memoria in sto periodo si apre tirando fuori i miei Sanremo. Erano i mitici fine anni '60! Quando le canzoni del Festival erano la colonna sonora della gioia di vivere che si riproducevano in ogni luogo grazie al juke-box che a colpi di 50 lire diffondeva le canzoni più in voga. A quel tempo Sanremo era una magnifica cassa di risonanza che ci alfabetizzava via etere quando la televisione rappresentava una conquista, con mezza Italia che la comprava con le cambiali, (Sigh!). E io Sanremo lo vivevo, di riflesso, come l'evento di inizio anno più atteso, più  discusso, in famiglia, nel palazzo, al Bar dei “Geggi” di via Risorgimento... Era un bel momento! Sanremo per me ha soprattutto il sapore di mia madre. Ma anche dei gesti, degli accenti, dei toni, dei dialetti. Mi ricordo dei Sanremo in bianco e nero dove a casa mia lo venivano a vedere un bordello di gente tra vicini, amici, parenti, conoscenti..., (Sigh!). L’appartamento al secondo piano di Via Goito 13, di sera, per tre giorni alla fine di gennaio, svuotato dei fratelli grandi, tuonava folla di umanità variegata del sud. Di un sud genuino, pittoresco, incontaminato. In pochi metri quadri a casa mia succedeva di tutto, prima e dopo Sanremo. Il tavolo della cucina era sommerso di roba da mangiare per sfamare un reggimento. Tra quello preparato da mia madre e le cibarie di chi le portava. Decantate tutte come “nostrane”..., nel senso di naturali, fatte con cura da mani sapienti: timballi gattopardeschi, purpette au succu, cardi fritti, zucche in agrodolce,… Tra i dolci, mi ricordo che in occasione di Sanremo, finivamo il torrone duro come una pietra, a forma di cuore ricoperto di cioccolato fondente, che arrivava puntualmente per Natale in dosi massicce da qualche parente di Piazza Armerina …, (Sigh!). E poi gli Sfinci, "piccoli" bocconi morbidi dalla forma rotonda irregolare, di pasta lievitata, fritti in olio bollente e ricoperti da una pioggia di zucchero... Per spizzugliare durante, invece, come se non bastasse, c’era la  frutta secca:  “calia”, “semenza”, mandorle, arachidi, noccioline tostate, pistacchi, semi di girasole... Tutt’attorno al tavolo della cucina, sedie in doppia e tripla fila, pure di spalle alla televisione…, perfino nel corridoio... Ancora adesso non mi spiego come faceva a starci tutta quella gente in così pochi metri. Casa mia, di più la sera della finale sanremese, diventava un’isola felice di passioni, del folklorismo meridionale puro, estetizzante. Mia madre si faceva in quattro per organizzare la casa. Tutto nel pomeriggio, dopo aver cucinato un giorno intero.., per assistere, mangiare, spizzugliare, dialogare, giocare, assieme. Casa mia con Sanremo diventava il luogo quasi essenziale..., che creava legami, aspettative, ricordi, nostalgie. Tutti in cerca di appaesamento, per esorcizzare lo smarrimento, il timore di perdersi, in un posto nebbioso a oltre mille chilometri a nord dalle proprie origini. Quelle mitiche sere di Sanremo avevano il carattere per ogni età.., regnava l’allegria, l’ingordigia, la risata e anche il pianto. Per noi picciriddi era una festa, una cosa speciale…, perché per noi a quell’epoca i programmi finivano sempre dopo Carosello, la nostra linea di demarcazione tra lo stare in piedi e andare a nanna. Quando, sul palco del Salone delle Feste del Casinò di Sanremo, spuntavano i cantanti a casa mia ci scatenavamo...Non perdevamo una nota, un acuto..., e il bordello che regnava prima, in quel momento, si trasformava in silenzio religioso. Che diventava ancora più intenso, oltre che profonda delusione, quando la televisione, magari per una bizza di qualche valvola o dell’antenna che non prendeva bene, cominciava a fare delle fastidiose righe bianche sullo schermo… Per un paio di minuti il panico ci assaliva in un silenzio assordante, angosciante…(Sigh)! Con gli sguardi interrogativi dei presenti delusi concentrati su mia madre che con un gesto rassicurava, sperando in cuor suo che lì per lì non saltasse qualche valvola… Scampato il pericolo, ricominciava Sanremo e l'allegro bordello. A mezzanotte la Tv di stato cessava la trasmissione sulle note dell'ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, mentre a casa mia si continuava coi bagordi e coi commenti sui vincitori e vinti... Sanremo era Sanremo!