martedì 28 giugno 2016

Bud Spencer, bonariamente gourmet

Se guardo indietro e penso a Bud Spencer, uno dei miei miti del cinema di gioventù, mi vengono in mente le domeniche pomeriggio passate a guardare i suoi film al Sant’Andrea di Bra. Bud Spencer mi piaceva come menava botte. Mai violente. Menava senza sforzarsi, garbatamente, in surpplesse, facendo volare a destra e manca schiaffoni e cazzotti. Più che altro le sue erano botte educative, a fondo morale. Le sue sberle del cinema insegnavano. E si potevano anche evitare, se si capivano prima i suoi sguardi e i suoi gesti di monito…. Bud Spencer era un tipo così. Un attore così. Amabilmente sospeso. Mi piaceva anche come Bud Spencer, quasi assonnato dopo la faticata delle botte che menava dispiaciuto, si sedeva a tavola immergendo tutto il muso nei succulenti piatti. Zuppe e paste, soprattutto, che funzionavano da lenimento morale! Bud Spencer! Mai volgare. Si abbuffava con sentimento. Adesso che è volato in cielo voglio immaginarmelo al desco di un’osteria del Paradiso, in una sua ordinata normalità. Fazzoletto annodato al collo, seduto su uno dei tanti tavoloni di legno imbandito assieme a tanti Angeli. Allegro, di buon umore. Al centro, quella meraviglia, la zuppa di fagioli. Nella continuazione di uno dei suoi più celebri film.


lunedì 27 giugno 2016

Brexit caliber

L’Inghilterra è un paese noto per essere rispettoso, per essere politically correct…. Se c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo è l’educazione degli inglesi! E poi vuoi mettere…? Gli inglesi sì che sono seri! Sono sobri! Sono eleganti! E non si scompongono mai di fronte a brutti momenti…Sono altruisti...!  Gli inglesi sono precisi! Sì, sono precisi! Così precisi che voglio pensare che alla fine se ne sono usciti dalla Comunità Europea per colpa dei tragicomici regolamenti sui calibri dei piselli, sulle curvature dei cetrioli, sul diametro delle mele, sul colore delle arance, sul peso della lattuga... “Non ce la facciamo più a combattere contro tutta sta roba imprecisa che ci arriva soprattutto dal meridione d’Europa….! Che male abbiamo fatto ai legislatori di Bruxelles?” - avranno pensato i Lords! “Una Comunità Europea che giustamente si prende la briga di stabilire dimensioni e caratteristiche di base dei prodotti della terra, e anche del mare, andando a sindacare sui millimetri, sui grammi e perfino sulla curvatura, dev’essere poi in grado far rispettare le regole..." - avranno sentenziato! Se no!?! Una delle gocce che avrà fatto traboccare il vaso, conoscendo lo stile, quindi, secondo me, è stata l’ordinanza numero 1677 della Commissione Europea. Che stabiliva che un cetriolo, per essere commercializzato, doveva avere una curvatura massima di 10 millimetri su una lunghezza di 10 centimetri….(Sigh!!!).  Era del 2008. Poi l’anno cambiata un pelo sta regola... Apriti cielo….! Gli inglesi se lo sono legato al dito! Hanno dovuto correre ai ripari, rifacendo tutti i prototipi comparativi….Dite che non è colpa del cetriolo? Allora saranno stati i limoni, i  mandarini, le clementine, i kiwi, le lattughe, le pesche, le pere, le fragole, i peperoni,  i pomodori…. Ma certo! Gli inglischmen ne avevano le palle piene di perdere tempo a rimisurare calibri, pesi, colorazione, sempre non coincidenti…Anche perché, come dice il regolamento della nostra Comunità, “Il calibro è determinato dal diametro massimo della sezione equatoriale all’asse del frutto, in funzione del peso oppure del numero di frutti”. Ma che caz.. di regola è…., abbiamo pensato noi del sud? Roba nostra, da ingegneri meccanici....!.. Questa si che è materia per noi…., hanno pensato gli inglesi. Così, sto Popolo non ce l’ha più fatta, in mezzo ai panorami tra il verde e il grigio, in completo principe di galles, righello e goniometro alla mano, a misurar calibri inesatti ….Con tutto quel che sto Paese c’ha da fare.  Sotto la pioggerellina che non li  molla mai! Dite che gli inglesi non se ne sono usciti per ste demenziali regole su frutti e ortaggi? Allora sarà per le vongole? Non meno di 25 millimetri se vuoi pescarne una. Se nella rete ne finisce anche una sola di un millimetro più piccola, scattano le multe. Forse ti arrestano pure….Ve lo dico io! Gli inglesi se ne sono scappati da sta gabbia di matti perché stufi di usare righello, calibro, bilancia, lettori della colorazione… Per non perdere tempo a controllare se tutto quel che gli arrivava da fuori era in regola.... Se i tedeschi mangiano la foglia, loro che sono grandi mangiatori di cetrioli, e non per questo sono dei citrulli, ne vedremo delle belle!

lunedì 20 giugno 2016

Furto autorizzato

Cronaca provinciale: "Ladri di ciliegie arrestati e processati". Rubar ciliegie...Gesto di giovanili memorie. In sto’ periodo dell’anno coi miei amici passavamo il tempo a indigestionarci di ciliegie rubate! Partivamo con qualsiasi mezzo a motore, su due rote, a farci “un Pocapaglia”. I capelli folti degli anni paninari regalati alla brezza, lungo il percorso di curve sulla Provinciale 134 che da Bra porta verso il piccolo Comune, poco distante. Una pista “naturale”, per le pieghe sull’asfalto. Ciliegie di qua e ciliegie di là. Si faceva “un Pocapaglia”, ben noto nei dintorni, per sti motivi. Soprattutto nella bella stagione, tra maggio e giugno quando il cielo scoloriva rapidamente sui bricchi sonnolenti del primo Roero. Le curve di quel tratto della SP134, per i miei amici e per chi scrive, rappresentavano il circuito su cui ciascuno coraggiosamente cercava un modo per esprimersi, per scalare la classifica adolescenziale. “Andiamo a farci un Pocapaglia” per noi era un modo per passare il tempo, sfidando anche di farla franca. Per far capire agli altri chi era più manico in moto, chi smanettava meglio senza cadere, chi arrampicava meglio sugli alberi, portando a casa più “bottino” senza farsi beccare. La rivincita del “milieu”, sul mondo incolore e striminzito dei “per bene”. Era anche il rito inaugurale di chi, fresco della “A”, si buttava nella mischia dei centauri per cercare gloria nel passaggio di categoria da cinquantino a centoventicinque e oltre. La patente “A”…! Mannaggia! A quel tempo si prendeva a 16 anni, solo esame orale, e si potevano guidare mezzi fino a 125 di cilindrata. Oltre, fino a 350 cc, ce ne volevano 18. Se avevi la “B” e ventunanni, la “A” non valeva più una mazza: potevi guidare qualsiasi auto e moto. L’altro giorno parlando con un amico coscritto compagno di mille “Pocapaglia”, che la sa lunga sulle patenti, mi diceva che adesso se ne contano quasi una ventina. C’è una patente per ogni cosa. E tutte prevedono esami, orale, scritto e guida. Per avere quella sempre superiore devi avere tutte le altre….Sigh! A sol calante, tra maggio e giugno, da Bra partiva un primo gruppetto per farsi “un Pocapaglia”. Solitamente erano i “gagni” (più piccoli), in corteo, su motorini truccati. Li “cissavamo”, (termine di qui che significa spronavamo), e si “cissavano” anche tra loro come fossero in gara, a chi arrivava prima! In realtà i “gagni” funzionavano da sentinelle sulla SP134: avvisavano cioè i più grandi, che partivano dopo uno a uno, della presenza o meno degli Sbirri sul tragitto. L’ultimo arrivato, dei “gagni”, tornava indietro per dire ai grandi se si poteva o no. Gli altri presidiavano le curve. Farsi un Pocapaglia….! 4 km, una dozzina di curve in tutto di cui alcune belle larghe e veloci. In mezzo un paio di rettilinei. 5 minuti di adrenalina pura dove a ogni curva, destra o sinistra che fosse, si cercava di buttare giù il più possibile il mezzo a due ruote, il motorino, la vespa la moto…Si faceva la gara a chi faceva raschiare la marmitta, la scocca, il cavalletto. Le scintille dell’attrito di questi sull’asfalto, erano il segno del successo. Il “gagno” di sentinella testimoniava! Qualcuno di noi porta addosso ancora oggi i segni di qualche sfortunato “Pocapaglia”….Dopo le curve, tutti sui ciliegi come stormi di pennuti. Ci arrampicavamo sugli elastici rami, degli alberi più carichi di qua e di là, cavalcandoli senza paura di cadere. Soprattutto quelli i più alti, i più giovani, quelli che trattenevano i frutti più maturi e più dolci. Quelli che custodivano le ciliegie che potevano fregarci solo i merli. “L’assalto alla baionetta” durava meno che le curve. L’adrenalina, la stessa però. In un niente lasciavamo l’albero spoglio delle gustose palline. Se veniva fuori il contadino erano c….amari! Dovevamo battercela di corsa. Solitamente, carichi del risvolto anteriore della maglietta che faceva da contenitore, salivamo velocemente sul nostro mezzo lasciato sul cavalletto acceso, perché il primo bersaglio delle randellate che arrivavano dall’incazzato colpivano quello. Dal 24 giugno in poi, dal giorno di San Giovanni, i “Pocapaglia” li facevamo solo più per le curve. Dal giorno di San Giovanni, infatti, la ciliegia diventava cosa dei “gianin”, dei vermetti che s’insediano nel frutto prendendo il nome del Santo. In questa fantastica realtà credevamo al miracolo dei “gianin”. Che nella notte solstiziale, a causa delle polveri magiche che venivano disseminate nell’aria dalle streghe, la ciliegia diventava immangiabile! A quei tempi, rubar ciliegie era furto autorizzato!

martedì 14 giugno 2016

Sul Tetto del Mondo

La Francescana di Massimo Bottura è lì sul Tetto del Mondo. Lo scopro stamattina presto. Di solito mi alzo verso le 6. Alle 6.30 sono sul Tg1 che dà la notizia. In ultima. Breve. Con poche parole della conduttrice. Quasi un titolo.... Credo, e spero in cuor mio, solo perché non si è avuto il tempo di approfondire con un servizio appositamente montato visto che l’annuncio è fresco, fresco.  A New York, infatti, da poco, una giuria di circa mille esperti gastronomi di tutto il mondo gli ha assegnato il prestigioso “The world's 50 best Restaurant. Ci rendiamo conto? Max Bottura, un italiano, primo nella classifica delle classifiche! Quella che annualmente indica i 50 Top ristoranti del mondo! L’Italia è lì. Finalmente! Dove merita di stare, sul gradino più alto della Cucina! Dell’ospitalità, del gusto, del piacere! Che la festa abbia inizio! Suonino i violini. I violini !?! Max!?! La Francescana!?! Modena !?! Mi vengono in mente i Modena City Ramblers.... La Band che col suo impegno civile e sociale, e le intelligenti suonate folk dei suoi violini, mi catapulta ogni volta in atmosfere di grande festa. L’associazione di Max con loro è facile anche per il titolo di un album dei MCR che mi par lì lì di ricordare. Quello del ventennale, “Sul Tetto del Mondo”. Ma come no! Certo. Breve ricerca. Confermato! Sì dai! Anche se Max ama il Jazz me lo perdonerà. I violini dei MCR...! Me li vado a riascoltare, e in particolare quell’album lì. Sul Tetto del Mondo! Scopro anche che comprende 13 brani! Bene, porta culo!  E allora lo riascolto sto Album: “Altritalia”, uno spaccato dell’Italia migliore, quella che non si arrende, ma che combatte. Vado avanti!  Violini! Ballate Pop. “Interessi Zero”, “I Giorni della Crisi”, brani dello spaccato sociale preciso dei nostri tempi, della nostra Italia. E poi arrivo lì al brano “Seduto sul tetto del mondo”: lo ascolto bene. Pezzo slow. Violini strepitosi. Parole intime, riflessive: “Seduto sul tetto del mondo. Gli occhi chiusi a respirare. A inseguire i profumi e i rumori. A rincorrere un pugno di soldi. Perduti tra le sabbie del tempo. Da chi baratta le vecchie illusioni. Con promesse d'oro e d'argento. Pur sapendo che è inutile andare. Se hai già rinunciato a cercare. Seduto sul tetto del mondo. L'orizzonte comincia a parlare. E racconta di come la Storia sia una piccola traccia di luce. E di come talvolta la gente sia cieca perché vuole il buio. E aspetta dall'alto un segnale. E invoca un gesto regale. Da piccoli re di cartoni”. Dai Max...!  Lo so. Tu che stai da un pezzo assaporando il profumo inebriante del successo, questa scarica di adrenalina saprà cancellare solo in parte le tue fatiche.... Per come ti conosco non sei uno che è arrivato e che quindi non deve più lottare. Non sei quello che vive di gloria, godendo di quello che ha conquistato. Gustati però questa infinita ebrezza che oggi ti mette lì, sul Tetto del Mondo. Il tuo nome è noto a tutti. La verità è questa! E splenda sempre più sfavillante a fianco della nostra Cucina. Noi che amiamo e lavoriamo per questa AltrItalia, siamo con te! Suonino i Violini a Festa!!  
  

mercoledì 8 giugno 2016

Identità in Carpione

Spesso e volentieri gioco sulla mia origine. Anzi sulle mie origini. Sì perché io l’origine ce l’ho doppia. Sono Piemuntiis, per “i me’ frat”: perché sono l’unico di loro nato e cresciuto quassù, a Bra provincia di Cuneo. Sono Terrone per tutti gli altri: perché “veniamo” da laggiù, da Piazza Armerina provincia di Enna. Dagli uni e dagli altri, molte volte, per i rispettivi motivi, non sono proprio considerato….. Così, visto che spesso prendo “schiaffi” a destra e a manca, capita che cedo alla facile mitizzazione della mia doppia origine. Evadendo ironicamente dalla prigione dell’Identità in cui mi si vuole rinchiudere. Sfruttando l’una piuttosto che l’altra origine, secondo come più mi fa comodo in quel momento! Tanto so che su tutte e due ci posso contare e di loro ho anche tanto da raccontare….. Per ampiezza di vita condivisa, per ricchezza di linguaggio, per umanità, per educazione ricevuta, per persone frequentate, per fatti, per usanze, per credo, per fantasia…. E, secondo il mio comodo, solo per gioco o quando serve, scelgo ogni volta se mettere davanti le maniere di una o dell’altra mia appartenenza. Se essere piemuntiis o terrone. Pongo, insomma, in risalto, ogni volta, istintivamente e in modo naturale, quella che mi sembra l’identità più appropriata per suggestionare, caricando di uno o dell’altro carattere…. Non vi nascondo che ogni tanto ci faccio dei bei film con sta storia! La mia tortuosa doppia origine non esime i miei gusti alimentari. Li ho ben fissi e ne vado fiero di tutti e due. Di quello piemuntiis e di quello terrone. Li considero tutt’e due roba speciale. Tutt’e due spiccatamente, orgogliosamente, ben fissi in me. Mi appartengono alla pari, come le mie origini. Sbavo per la Bagna Càuda, come per la Caponata, come per il Vitel Tunè come per i Babbaluci cu Sucu, come per i Plin come per la Pasta ‘Ntaganata….Su alcune stesse ricette, ho seri problemi però a fuggire da sta prigione e scegliere da che parte stare. Il Carpione ne è un esempio su tutti. Il Carpione...! Per me la portata del cuore in sto periodo di inizio estate. Il piacere rinnovato. Del miracolo del suo sapore, che migliora in frigo col passare dei giorni. Il Carpione….! Sia quello di matrice piemuntiis che terrone! Rappresenta la cornucopia delle mie sensazioni. Interpreta il gusto semplice e sensazionale, ma diverso, della mia doppia origine. Il Carpione….! Essenzialmente aceto, olio, aglio e salvia… Che per me diventa piemuntiis o terrone attraverso un sapiente gioco di equilibri di ciò che ci si mette dentro a rinvigorirlo. Per le quantità e le qualità dei liquidi, ma soprattutto per l’ingrediente principale, quello che poi si mastica. Ma che prima si impana e poi s'immerge a riposare. Il Carpione! Che cambia e diventa sempre magico, pregiato, secondo la mia leggenda. Così, per esempio, il Carpione con le Cipolle e le Sardine è la mia orgia terrona. Il Carpione di Zucchine, Uova Fritte e Petti di Pollo, invece è il mio profluvio piemuntiis. Un posto d'onore nella mia biblioteca dei ricordi, però lo occupa il Carpione dell’Osteria della Lovera, nella piccola frazione di Bonvicino, a due passi da Murazzano nella Langa mezzana. La Lovera la frequentavo da "giovinass", quando con passo incerto volevo diventare adulto. E profondevo in ogni attività che mi assicurava piacere....L'Osteria la mandavano avanti i rustici, e già allora anziani fratelli, Angelo e Franco, da tempo scomparsi. Loro il Carpione lo facevano con l'Anguilla, senza tanti fronzoli. Un piatto primitivo, virile, vigoroso. Per bocche esperte. Brusc! Selvai! Sontuoso nella sua modestia. Alla Lovera mangiavo l’Anguilla in Carpione come un autistico, che in quei momenti niente poteva turbare. Sensazioni forti, struggenti, di una purezza ed una selvatichezza tutta sua, capaci di abbattere in un niente il mio giovane diaframma del gusto e aprirmi sul mondo. Allora, ogni robusto boccone del Carpione di Anguilla, ma forse di tutto il cibo prodigioso che mandavo giù lì da Angelo e Franco - combinato con bicchieri di Dolcetto sincero senza etichetta - era una perfetta esplosione di gusto. Così agitatrice, che ogni volta era capace di incendiarmi la giovane mascella di felicità. E farmi crescere anche, ispirandomi desideri che, però, non posso scrivere qui!  

sabato 4 giugno 2016

Dhess! Dhess!!


Dhess! Dhess!!! Fu la doppia esclamazione di mio padre ai due pugni di Cassius Clay sferrati a Foreman che capitolò… Era il 30 ottobre 1974. Gli occhi del mondo erano puntati sullo stadio della capitale dello Zaire oggi Repubblica Democratica del Congo. Come anche quelli di mio papà e i miei, che erano appiccicati lì sul piccolo schermo in bianco e nero del primo televisore di Via Goito 13 comprato a rate da Busso, come tutti gli altri nostri elettrodomestici. Dhess!, mio padre, che ha sempre pensato e parlato siciliano nonostante abbia passato più di metà della sua vita in Piemonte, lo usava sempre durante un incontro di “Fuccilato” (come chiamava in siciliano la Boxe) per enfatizzare la stoccata finale. Per dire c’è…, eccolo…, preso…, fatto…, finito.., kappaò! Lo usava sempre nel preciso momento in cui capiva che il colpo tirato da un pugile verso l’altro era capace di buttarlo giù. Facendo anche il gesto col pugno. Non ha mai sbagliato un Dhess! mio padre. Lui era un fondista del Fuccilato. Sapeva tutto, Non si perdeva un incontro. Mi ricordo quand’ero piccolo, ma anche dopo, che monopolizzava la televisione per ore, se mai ce ne fosse stato uno che meritasse vedere. Quando c’era u' Fucilato in Tv i fratelli grandi uscivano, mamma se ne andava poco dopo a nanna annoiata e a me chiedeva di fargli compagnia per non stare solo a commentare l’incontro. Credo lo facesse anche come formula educativa nei miei confronti istruendomi sulle regole e la filosofia di questo sport che lui amava. Veniva matto per u'Fuccilato e per quegli atleti soprattutto neri, alti e grossi come armadi, lucidi di sudore, capaci sul ring di sferrare e prendere colpi da una tonnellata fino allo stremo delle forze. Per poi abbracciarsi alla fine di un incontro come fossero fratelli. Come ci teneva ogni volta a evidenziare mio padre, spiegandomi u'Fuccilato. Alla fine credo ci sia riuscito a passarmela un po’ della sua passione per u’ Fuccilato. I suoi miti dopo Primo Carnera di cui mi raccontava ogni volta le gesta che seguì nella sua giovinezza, erano i famosi Neri. In ordine: Cassius Clay, Foreman, Frazier. Avevo 11 anni nel ’74, e me la ricordo bene “la rissa nella giungla” come fu chiamato il memorabile incontro d'Fuccilato che si disputò tra l’allora campione del mondo dei pesi massimi George Foreman e Cassius Clay. Con quest’ultimo che voleva a tutti i costi riconquistare il titolo che fu suo, prima che glielo togliesse Frazier, e a lui Foreman. Di Cassius Clay, a mio padre, gli piaceva la sua velocità nel tirare i pugni uno dietro l'altro, ma anche come sapeva incassare le botte e rimanere in piedi prendendosele di santa ragione, per ore. Il famoso match del ‘74, fu memorabile per questo e mio padre per tutto l’incontro me lo fece notare sto fatto. Per farmi capire il suo valore nel quotidiano della vita. L’incontro tra i due pugili più forti di tutti i tempi….Indimenticabile! Come Cassius Clay che quella sera restò in piedi nonostante le botte prese per 8 riprese, sfidando Foreman a colpirlo sempre più forte…! Come, indimenticabile per me, il doppio Dhess! di mio padre che quella sera urlò saltando su in piedi davanti allo schermo! Due Dhess! di fila, uno di seguito all’altro quando vide partire prima il gancio sinistro di Cassius Clay che fece alzare la testa di Foreman e poi il diretto in pieno viso che lo fece finire al tappeto….. Cassius Clay - Muhammad Ali, è morto. Se n’è andato il mito d'u'Fucilato di mio padre. Se mio padre fosse ancora in vita mi direbbe come mi aveva già detto, quando dispiaciuto vide il suo Campione tremante per la malattia accendere la fiaccola olimpica alle Olimpiadi di Atlanta, che nessuno sport deve uccidere. Tantomeno u'Fuccilato che lui amava. Li ho accomunati mio padre e Classius Clay- Muhammad Ali nella dedica di questo post con la speranza che il collegamento, anche nei Campi Elisi, dove passeggiano i giusti, continui.  Dhess! Dhess!!

venerdì 3 giugno 2016

Gin, Gin

Ogni tanto mi faccio di Gin Tonic. Solo ogni tanto però. Nel periodo estivo di più. Quando trovo chi lo sa fare bene me ne faccio anche due o tre di seguito. E’ uno dei miei pochi “onesti” cocktail che tiro giù a golate per meditare, per dissetarmi, per rimettermi a posto dopo i bagordi della tavola, per stare in amicizia. Delle volte, durante, io che non fumo, boccheggio anche un sigaro toscano o un cubano che sia. Non so il perché! Il Gin tonic io lo considero un toccasana! Gli riconosco le qualità terapeutiche degli ingredienti. Di  quando Gin e tonica non stavano ancora assieme, ma tutt’e due venivano usati come potenti febbrifughi! Me ne accorgo subito se un Gin tonic è fatto bene. Sembra facile: tre cubetti di ghiaccio, un po’ di Gin, una fettina di limone o lime e acqua tonica…No, No! Non è così. Indimenticabili sono quelli che mi sono fatto a San Sebastian, Donostia nei Paesi Baschi. Quando a inizio millennio, per una diecina di anni di seguito, frequentavo “Lo Mejor de La Gastronomia”. Al Kursaal, il palazzone tutto legno e gigantesche vetrate, adagiato sulla spiaggia della Zurriola da cui si vedevano anche le ondazze atlantiche domate da surfisti coraggiosi e infreddoliti. Qui per una settimana in autunno si radunavano i migliori chef al mondo venuti lì a dimostrare la propria arte. Il format l’aveva ideato il noto giornalista spagnolo Garcia Santos, innamorato della cucina italiana. Che l’amico torinese Giorgio Grigliatti, indiscutibile talent scout eno-gastronomo, gli faceva provare in ognidove per scoprire il meglio da portare come esempio lì a Lo Mejor. Oggi in Italia esistono una marea di fotocopie del Congresso di Donostia, ma nessuno si avvicina nemmeno a somigliarlo un po’. Mi manca un casino Lo Mejor. Mi manca anche il dopo Congresso! Quello delle sere passate a tirartardi, tra pinchos e Txakolí, ristoranti stellati, taverne, sociedades gastronomiche, e altri tipici locali della gola per cui è famosa la Perla dell’Atlantico! A San Sebastian, il Gin tonic me lo godevo proprio, e me ne facevo anche a manetta, in buona compagnia, la sera tardi, al Bar Dickens. Un “baretto”, specializzato nel famoso drink, simbolo di ritrovo per gli appassionati come me. L’allora suo barman, un certo Joaquìn, era stato non so quante volte campione del mondo di Gin tonic. Assistere alla sua preparazione del Drink era come andare al teatro: sguardo di sfida da torero concentrato sul bicchiere, gesti cadenzati, ritmi lenti di altri tempi…, li ripeteva più volte. Alla fine il Gin tonic di Joaquin, servito rigorosamente in Balon di vetro, risultava rotondo, fresco, aromatico. Uno più buono dell’altro. Con quel non so che, che alla fine me ne faceva bere ancora. Non mi ricordo quanti Gin Tonic ho bevuto al Dikens. Mi ricordo però che si pagavano cari e in contanti. Lo scoprii tristemente subito la prima volta. Ne avevo già bevuti un paio, apprezzandone l’eccellenza. Così, quando fui raggiunto lì al Dikens da un po’ di amici, in tutto una diecina - tra i quali alcuni allor giovani chef ancora molto lontani solo dall’immaginare di diventare gli affermati tre stelle Michelin di adesso - li invogliai, a seguirmi sul Drink che mi aveva rapito. E così ordinai a Joaquin, con una certa confidenza come se lo conoscessi da una vita, “Gin tonic per tutti, pago io”. Vinse e valse la regola che un Gin tonic tirò l’altro…, così ne bevemmo un po’. Mi avevano detto che il Gin Tonic al Dickens non lo regalavano, ma non ero così pronto per sapere che costava dieci/dodici euro, sich! Fatto sta che io, che col contante ci litigo, anzi le mie mani ci litigano sempre perché non riescono a trattenerlo, quando andai a pagare porsi generosamente la mia carta di credito al cassiere. Mi ricordo ancora il sorriso a mezzo muso stretto stampato sulla sua faccia dondolante, e il gesto del pollice che sfrega insieme il medio e l'indice, per dire senza dire, in segno dei contanti. Cheffigura di m….!, pensai smarrito, sigh! Fortunatamente il cassiere mi tranquillizzo sottovoce togliendomi pure dall’ imbarazzo: “tranquio, no te preocupe…..,fuera da aquì hay sta en bankomat donde se puede retirar  y después pagar!” –  puntando cogli occhi e facendo un cenno ad un suo collega marcantonio piazzato sulla porta di accompagnarmi, andata e ritorno…. Il Gin tonic che apprezzo di più però è quello del mio amico Michele Di Carlo, detto Michel0ne (Micheluan). Il number0ne dei Drink. Il cocktailsman per eccellenza. Il “gustosofo” esperto in cocktail, immenso in tutto e per tutto, dotato di un infallibile olfatto e un palato superfine. Oltre che di una tecnica di insegnamento e di assaggio che, sommato alla sua cultura sugli Spirits, lo fa un professionista di livello superiore. La sua filosofia, diventata mia, è che un buon barman è tale quando non ti fa ubriacare con soli due o tre cocktail. Lui è così! Responsabile fino dalle intenzioni e sa proprio come farmelo godere il Gin tonic! La sua ricetta? Semplice: 4 cl di Gin – ghiaccio - 1 bottiglietta di acqua tonica  - 1 fettina di lime. Prima cosa raffredda bene con ghiaccio tritato il bicchiere, Tambler grande per lui. Svuota e rifà. Risvuota, e adagia la fettina di lime sul fondo schiacciandola appena, poi riempie il bicchiere di ghiaccio, aggiunge il Gin e serve con bottiglietta di tonica a parte. Semplice direte. Provateci! Il Gin Tonic di Michel0ne è fatto di dettagli: sceglie il lime maturo e succoso, ma turgido. Dei Gin, a secondo: Beefeater Blu 47°, Broker’s 47°, Burnett’s 50°, Plymouth Navel Strenght 57°. L’acqua tonica è sempre ben fredda. Il ghiaccio, trasparente e cristallino. Mica quei cubetti ossidati bianchi che usano i “dozzinali” fabbricatori, alterandone il gusto! Il Gin tonic di Michel0ne sa di Gin tonic! Non di gin, non di botanici, non di spezie, non di acqua tonica….E poi come usa lo Stirrer, lui…..! Altro che robot Makr Shakr....
Gin, Gin!